2019-09-27-Mondo-Privacy-Google-GDPR-Diritto-Oblio

Hai mai provato a cercare su Google il tuo nome o cognome? Se sì, avrai notato che è possibile ricostruire un piccolo puzzle della tua identità.

Si inizia dalle foto presenti sui social network, passando per i commenti pubblicati con l’account a post e blog.

A questo punto lo step successivo è quello di domandarsi se si ha la possibilità di rimuovere definitivamente alcuni contenuti del passato, nemici della reputazione.

Dopo l’entrata in vigore del diritto all’oblio dovrebbe essere così.

In questo articolo scopriamo perché il GDPR ha chiamato in causa Google, al fine di tutelare i dati personali degli interessati, assistendo ad un vero e proprio confronto tra la legge privacy ed il motore di ricerca più utilizzato su scala globale.

 

Diritto all’oblio: di che cosa si tratta

Innanzitutto, spieghiamo il suo nome.

Il diritto all’oblio, in poche e semplici parole, è il diritto di essere dimenticati. Si tratta della possibilità fornita al singolo utente di poter cancellare qualsiasi contenuto che possa danneggiare la sua reputazione.

Parliamo di una garanzia vera e propria, sancita dalla stessa Corte di Giustizia con una decisione presa nel 2014, anno da cui Google deve considerare le richieste dei cittadini europei -oltre 850 mila- che non vogliono mostrare pagine, informazioni, e immagini con una semplice ricerca.

Questa breve spiegazione serve per comprendere una battaglia che si protrae da anni tra il più famoso ed utilizzato motore di ricerca del mondo e ad alcuni stati membri dell’Unione Europea, specialmente dopo l’ingresso del Regolamento Europeo Privacy.

 

Google vs Unione Europea

Tutto ha inizio nel 2016 quando l’autorità per la privacy francese ha multato Google.

Il motivo? Il gruppo di Mountain View si era rifiutato di cancellare a livello globale i contenuti che in Europa hanno diritto all’oblio.

Una vicenda che non si è interrotta con il semplice pagamento della sanzione, perché la corte francese ha chiamato in causa la Corte di Giustizia.

Così il mondo di internet, nato per condividere informazioni senza limiti di confini geografici, sembra costringere la legislatura a prendere una decisione definitiva su un argomento troppo discusso.

Quale momento migliore, se non a seguito dell’entrata in vigore della Legge Privacy?

 

Tra GDPR, diritto all’oblio e Google

Nato e cresciuto per tutelare i dati personali, il Regolamento Europeo contempla il diritto all’oblio nell’articolo 17 e richiede un’applicazione a livello mondiale.

Il consiglio consultivo di Google invece ha espressamente richiesto la limitazione del diritto all’oblio ai confini dell’Unione Europea.

La risposta del Working Party Article 29, consiglio composto anche da un rappresentante delle Autorità Nazionali, è la seguente: al fine di tutelare adeguatamente ed effettivamente i diritti degli utenti titolari del diritto alla protezione dati, l’ordine non doveva essere limitato ai domini europei (ad esempio, “.it”, “.eu”, ecc.) ma doveva considerarsi applicabile a tutti domini rilevanti, compreso il “.com”.

Il 24 settembre siamo finalmente giunti al duello finale. La Corte di Giustizia si è esposta su questa battaglia tra GDPR e Google.

 

La Corte di Giustizia e la decisione definitiva

“Nessun paese dovrebbe essere in grado di imporre le sue regole ai cittadini di un altro paese, soprattutto quando si tratta di collegarsi a contenuti leciti”.

Questa affermazione è stata pubblicata dall’avvocato assunto in difesa del motore di ricerca, Kent Walk, in un post sul blog.

Si tratta di una dichiarazione molto, molto forte, in grado di riassumere la decisione della Corte di Giustizia e in grado di destabilizzare un po’ quella che era una delle principali novità del GDPR.

È stato sancito, infatti, che Google non dovrà applicare il diritto all’oblio in tutto il mondo ma solo in territorio europeo.

Secondo Francesco Pizzetti, ex Garante della Privacy, si tratta di una presa di posizione che ridimensiona notevolmente l’applicazione del diritto stesso.

Google 1, GDPR 0.

 

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