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Non è facile far cambiare rotta alle Big Tech, eppure l’Autorità Garante Olandese sembra riuscirci. Lo rivela l’analisi svolta dal New York Times sull’operato degli ultimi due anni, dimostrando come l’approccio di negoziazione e non punitivo sia il metodo vincente. L’osservazione ha coinvolto colossi quali Google, Microsoft e Zoom che si sono trovati a ritrattare i termini e le condizioni dei propri servizi al fine di riuscire a garantire un livello di protezione adeguato dei dati personali. L’autorità olandese si serve della Privacy Company, società di consulenza sita all’Aia che conduce audit valutando i rischi dei trattamenti di dati personali, riportandoli all’attenzione del governo olandese. È quanto successo a Google, da sempre nel mirino delle autorità garanti europee. Da audit svolti sulle applicazioni di Google utilizzate in ambito educativo e scolastico, i consulenti Privacy avevano constatato una serie di rischi elevati per gli utenti coinvolti ed i trattamenti dei propri dati personali. Dopo un primo rifiuto di Google, sul ritrattare i termini e le condizioni di utilizzo degli strumenti, il Garante avanzava un ultimatum: in assenza di adozione di misure per attenuare il rischio, le scuole olandesi non avrebbero utilizzato detti strumenti. Conseguentemente, nasceva un rapporto di cooperazione tra la Big Tech e l’autorità olandese che avrebbe portato allo sviluppo di nuove prassi. L’approccio “del bastone e la carota” ha dunque dato i suoi frutti e non solo, per i fornitori di nuove tecnologie, l’approvazione dell’autorità olandese sembra essere un sigillo di operato conforme alla protezione dei dati personali in Europa. Sarà questa la strada da percorrere in futuro? Staremo a guardare il metodo del Garante Privacy italiano.

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